jueves, 19 de agosto de 2010

CANTO D’ABBANDONO...


Le vacanze ci permettono di rilassarci e godere di un tempo libero che ci viene, la maggior parte delle volte, negato durante il semestre.
Ma anche promuovono la riflessione, l’introspezione, l’immedesimarci nella lettura, nella musica, nella natura...
Due settimane fa, sfogliando le pagine di un libro che raccoglieva voci poetiche italiane, mi son trovata con un vero gioiello, apparentemente semplice, privo di ogni retorica, e tuttavia, di una splendida bellezza disadorna.
In esso, Ungaretti puntava il dito sulla situazione degli immigrati, una realtá che oggi piú di prima colpisce i paesi e per cui ancora non si intravede una
soluzione.
La poesia, tratta da “L’allegria”, si chiama

“In memoria”:

“ Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva piú
Patria
Amó la Francia
e mutó nome
fu Marcel
ma non era francese
e non sapeva piú
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gutando un caffé
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse”

Come sia riuscito Ungaretti in poche parole, in versi scarni, ad offrire quest’immagine di assoluto abbandono ci parla della sua genialitá poetica...
Leggendolo, mi é venuta subito in mente un’immagine rimasta intatta nella memoria, nonostante gli anni ormai trascorsi.
Un’immagine antitetica, in cui sono affiorate sensazioni visive e sonore meravigliose, in contrasto con le piú evidenti miserie umane.
Una sera d’inverno a Firenze, una sera grigia e piovigginosa che aggiungeva ancor piú fascino a questa cittá, una sera in cui il Ponte Vecchio scavalcava un Arno ancor piú buio del solito, le luci delle vetrine spargevano ovunque la loro atmosfera di mondanitá, di lusso, di conforto.
In lontananza, come una stella in piú in questo tramonto di fiaba, la chiesa di San Miniato al Monte, tutta illuminata come per una festa attesa da tempo.
E mi son fermata, sfuggendo alla pazzia turistica, per godere di qualche attimo d’intimitá con la mia Firenze, intatta nell’affetto.
Altrimenti, magari non li avrei visti nemmeno: due marocchini, intirizziti dal freddo, che offrivano le loro merci ad un pubblico che passava davanti a loro senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
E loro sorridevano, con un sorriso che mi sembró in quel momento piuttosto una smorfia...
Tanto lontani dal loro caldo, dalle loro famiglie, dalla loro cultura.
Partiti con la speranza chissá di che, ignorati, menomati, derisi, discriminati.
In un’epoca in cui i diritti umani sono la bandiera di lotta di ogni spirito democratico, in un’epoca in cui non ci sono limiti alle possibilitá umane, chi potrebbe pensare a tanti africani, asiatici, americani e perfino europei sparsi per il mondo in cerca di un qualcosa che, purtroppo, é vietato a loro: un porto sicuro che lasci dietro e per sempre il loro lungo vagabondaggio.

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Scuola Italiana "Arturo dell'Oro" Valparaíso
Para Presenza 16/08/10

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