miércoles, 13 de octubre de 2010

DAL VENETO, DALLA BASILICATA E DALLA PUGLIA: TRE VOLTI DI UNA STESSA ITALIA A VALPARAISO.


DAL VENETO, DALLA BASILICATA E DALLA PUGLIA: TRE VOLTI DI UNA STESSA ITALIA A VALPARAISO.

Abituati come siamo ad ascoltare e parlare una lingua italiana che, pur corretta dal punto di vista linguistico, manca di modi di dire e di espressioni colloquiali; in altre parole, é lontana dal concetto di lingua viva a cui vorremmo avviare i nostri alunni, ci siamo sentiti piacevolmente sorpresi quest’anno, perché sono arrivati a scuola tre giovani insegnanti italiani: dalla Puglia, Mirella Mastropasqua; dal Veneto, Cristal Griguolo e dalla Basilicata, Francesco Panetta.
Mirella e Cristal fanno lezioni d’italiano e Francesco, di matematica, ai ragazzini delle Medie Inferiori. Tutti e tre, arrivati in epoche diverse dell’anno, si sono dimostrati entusiasti e aperti al dialogo, a condividere con i colleghi le loro esperienze, ad adeguarsi a questa nuova realtá, per loro sconosciuta.

Ecco quello che ci raccontano del loro soggiorno a Valparaiso:

“Benvenuto alla fine del mondo”.
Con queste parole sono stato accolto al mio arrivo in aeroporto dai colleghi venuti a ricevere un ospite venuto da lontano.
Ormai son passati alcuni mesi dal mio arrivo e credo che ora possa essere in grado di poter fare un primo resoconto su questi primi passi da professore italiano di Matematica in Cile.
Il progetto a cui lavoro, relativo alla parità della Scuola Italiana di Valparaiso, è ambizioso e costituisce anche una grande sfida concreta ed attuale che permette al Cile di aprirsi all’Italia e tramite essa all’Europa e dall’altro canto permette all’Italia di avere un suo piccolo ma significativo e storico porto culturale in Valparaiso.
Questa innovazione ovviamente richiede tempo, pazienza, dedizione costante, amore per il progresso e la cultura da parte di tante persone come dirigenti scolastici, professori e alunni che quasi giornalmente lavorano, si riuniscono, discutono e si confrontano. Inevitabile è un incontro-scontro di culture, quella italiana e quella cilena, che per quanto simili non sono identiche.
Ogni volta che comincio un’avventura internazionale (questa non è la prima volta che vivo e lavoro fuori dal mio paese d’origine) parto dal presupposto che non è l’intelletto degli studenti che varia da nazione a nazione quanto piuttosto il loro approccio alla scuola inserito nel contesto sociale in cui i ragazzi vivono.
Creare un nuovo stile di insegnamento qui a Valparaiso non significa cancellare totalmente quello preesistente, eliminare le radici culturali della scuola, piuttosto vuol dire integrare il lavoro che già si stava facendo con il meglio dell’educazione italiana (adeguamento dei programmi, inserimento nel personale docente di professori provenienti dall’Italia e lavoro gomito a gomito con i docenti cileni).
Personalmente nell’incessante confronto tra culture, lingue e stili didattici, ho imparato ad attingere il meglio e chiaramente ad apportare il mio, spero valido, contributo che costituisce solo una piccola tessera di un puzzle molto articolato e pieno di sfumature.
Non mi soffermerò a lungo facendo un lungo elenco delle discrepanze tra uno studente italiano ed uno cileno ma vorrei solo riportare due piccole cose che mi hanno fatto un po’ sorridere e molto pensare.
Un primo scontro con lo stile cileno l’ho avuto entrando in classe: gli studenti sembrano essere abituati ad un tipo di rapporto con i professori molto confidenziale rispetto a quelli che ho vissuto in precedenza: mi son sentito chiamare per nome, dare pacche sulle spalle e richieste di strette di mano.
Per quanto a livello personale non ci trovi niente di male, a livello didattico credo che questo non sia producente poiché potrebbe provocare una confusione dei ruoli che al contrario credo fermamente che debba essere rispettata per poi evitare di finire di essere vittime dei nostri stessi studenti.
Una seconda occasione di riflessione inerente alla cultura cilena è derivata dalle fiestas patrias: con sincera commozione ho visto negli occhi dei miei studenti una seria venerazione per la propria nazione, la propria bandiera, il proprio inno e le proprie celebrazioni, patriottismo che amerei leggere negli occhi dei miei studenti italiani.
Proprio da questi due piccoli esempi emerge chiaramente che tutti gli scambi culturali costituiscono sempre un motivo valido per un confronto sano e costruttivo, una crescita personale e collettiva.
Quando un giorno tornerò ad insegnare in Italia magari comincerò a stringere la mano ai miei studenti in segno di saluto e mi renderò conto palesemente che un po’ il Cile ha cambiato anche me.
(Prof. Francesco Panetta)

Mi è stato chiesto di scrivere alcune righe sulla mia esperienza come insegnante nella Scuola Italiana di Valparaiso e non nego che decidere quale aspetto di questa esperienza far emergere è stato alquanto difficile.
Mi rendo conto, per esempio, di non aver ancora raggiunto con i miei alunni l’equilibrio desiderato, nonostante sia da più di cinque mesi la loro insegnate d’italiano. Intoppi iniziali li avevo messi in conto, ma non avrei mai pensato che le difficoltà da superare fossero così diverse da quelle immaginate.
Prima di buttarmi a capofitto in questa esperienza avevo ben chiaro che tipo di insegnante sarei voluta essere. Tracciare un modello ideale non è un esercizio del tutto ozioso.
L’utopia sembra ancora oggi utile per abbozzare delle “linee guida”, per stabilire degli orientamenti, per affermare, come scriveva il poeta Eugenio Montale “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo essere”.
Ecco allora che ancor prima dell’insegnamento disciplinare cerco di far capire ai miei alunni che la scuola e la vita non sono due realtà completamente separate, ma che esiste tra loro una certa osmosi: nella scuola si può portare la vita e nella vita, là fuori, la scuola serve davvero.
Ho tutto l’entusiasmo di trasmettere loro l’idea che la scuola è il luogo dove ci si forma come individuo, dove si sviluppa la propria personalità, il proprio talento, le proprie inclinazioni; il posto in cui ci si prepara alla vita futura, quella vera che arriva dopo, quando non ci saranno più banchi da occupare.
Non mi arrendo, continuo con slancio e pazienza a seminare, prima o poi qualche frutto mi gratificherà. Perdere una battaglia non significa perdere la guerra.
(Prof.ssa Mirella Mastropasqua)


Compartir: questa è la prima parola chiave della mia esperienza presso la Scuola Italiana Arturo Dell’Oro. Dapprincipio ho fatto fatica a tradurre questa parola all’italiano e non perché ne sia lontana la traduzione lessicale, bensì perché ne è lontana la pratica, il modo di vivere questa partecipazione, che in questi pochi mesi trascorsi nella Scuola mi ha sorpresa e cambiata.
Quel cioccolatino che si divide in parti minuscole per soddisfare il desiderio di tutti, quella boccetta di profumo passata di mano in mano rinfrescando aria e polsi, e quindi un’acqua, un succo, un panino e caramelle e dolcetti e chi più ne ha, più ne ... condivida!
Questo senso della condivisione non esiste solo tra le cose materiali. Un sorriso è “para ser compartido”, come anche una lacrima, una soddisfazione, un momento angusto, un’emozione. Tutto risulta d’un colore più brillante se condiviso.
Chissà, forse aveva ragione l’avventuroso McCandless alla fine del suo viaggio, quando con l’ultimo inchiostro ci lasciò scritto che la vera felicità è tale solo se condivisa.
Un’altra parola chiave della mia esperienza nella Scuola è la poesia.
Tra i versi gli alunni sciolgono le loro intuizioni, s’interrogano sulla vita, cercano assetati risposte, formulano animose soluzioni, ipotizzano coraggiosi sentieri da scegliere. Una malinconia filtra negli sguardi di questi bimbi, fioriscono poesie profonde, talvolta commoventi e toccanti, che dimostrano una sensibilità spiccata e un’intelligenza acuta.
Singolare anche il modo in cui i bimbi affrontano questa inclinazione poetica: mai s’avviliscono, non s’accasciano, bensì ridono. Le poesie sfociano in una ristata! Questa è un’altra capacità straordinaria, a me sconosciuta prima d’arrivare qui: il poter ridere nella tristezza. “E se la vita ti da le spalle, chiamala, affrontala e così incontrerai il cammino corretto” scrive un mio studente di tredici anni sulla sua poesia.
Infine voglio dire grazie a tutti i miei studenti, a tutti i miei colleghi e a tutto il personale della Scuola per la preziosa maniera in cui mi hanno accolta, calorosa e amorosa, con un cioccolatino para compartir e un sorriso sulle labbra. Grazie.
(Prof.ssa Cristal Griguolo)

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